Analisi del Libro: OPUS di Pietro Trabucchi

Indubbiamente il libro Opus di Pietro Trabucchi ha come protagonista assoluto il concetto di motivazione. L’autore, infatti, analizza il ruolo che la motivazione ricopre nella vita di ciascun individuo e propone una sua personale visione su di essa. Nel fare ciò, egli parte dal semplice assunto che l’uomo non è altro che un “Animale appasionabile”, ovvero “una creatura capace di impegnarsi a fondo verso un obiettivo anche in assenza di ricompense o di costrizioni esterne.” In tale affermazione sono racchiusi tutti i concetti chiave dell’argomentazione di Trabucchi: passione, impegno, obiettivo e svalutazione del ruolo di incentivi esterni. Sarà proprio in base all’interpretazione di questi concetti che l’autore arriverà alle sue conclusioni: non esiste un “motivatore magico”, in grado di renderci performanti, ma siamo noi stessi che “dobbiamo farci carico della nostra motivazione” e, alla stregua dei giardinieri, cercare di “creare un ambiente favorevole a quella degli altri.”


 

Se dunque ci chiediamo cosa sia la motivazione, come la si possa allenare o promuovere negli altri, sicuramente la lettura di Opus è in grado di fornirci risposte valide. Ora partiamo dall’analisi del concetto chiave di passione.

La passione è qui intesa come automotivazione o motivazione intrinseca. Essa si “genera spontaneamente, senza bisogno di una spinta esterna ed è capace di durare a lungo, superare gli ostacoli e produrre un piacere legato all’attività stessa.” Potrebbe sembrare un concetto banale, ma si pensi a quanto nel mondo del lavoro, oggi più che mai caratterizzato dal costante cambiamento, sia importante, al fine di sostenere tale cambiamento, basarsi su motivazioni intrinseche. Nonostante ciò, come singoli individui facciamo ancora fatica ad utilizzare l’automotivazione come una risorsa, ciò accade per due motivi principali: il timore di fronte alla scoperta delle nostre potenzialità (e il senso di responsabilità che ne deriva) e l’attuale stile di vita, che disallena le capacità motivazionali. Proprio in riferimento a ciò, è inevitabile introdurre il concetto di impegno.

 

Per Trabucchi l’impegno, o meglio, “il piacere dell’impegno” è definito come “intenzionalità”. Non si può pensare infatti di portare a termine un qualsiasi tipo di lavoro se siamo privi dell’intenzione, anzi, in assenza di intenzionalità siamo facilmente preda del concetto di noia: “quell’attività è noiosa e mi demotiva”. L’opposto succede a chi è in grado di approcciare un lavoro con un atteggiamento mentale focalizzato sul piacere dell’impegno: in questo caso la noia non è “un dato oggettivo” ma “un’opzione”. In conclusione, il successo nelle nostre attività è dato dalla nostra intenzionalità, che è massima solo se siamo in grado di automotivarci: l’idea che la motivazione debba per forza provenire dall’esterno (mito dell’umano torpore) non è altro che un “alibi collettivo”.    

   

 

Strettamente legato al concetto di impegno è dunque il concetto di obiettivo: l’uomo può “impegnarsi e perseverare per realizzare un obiettivo incerto, immateriale, e molto sfidante, e che si potrà eventualmente realizzare solo dopo svariati anni”, proprio perché la sua motivazione ha la caratteristica di “autogenerarsi internamente”. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con gli incentivi esterni: questi infatti non sono in grado di sostenerci nell’ottenimento dei nostri obiettivi, se non nel breve periodo e per obiettivi facilmente raggiungibili. Come fare dunque ad allenare la nostra motivazione? La risposta è semplice: obiettivi sfidanti conducono l’uomo sulla via della resilienza e della perseveranza. Grazie alla resilienza, l’automotivazione resta costante nonostante le avversità, mentre la perseveranza “crea passione”. È sicuramente vero infatti che “spesso le passioni nascono per influenza di relazioni significative, ma a volte si generano dalla perseveranza in attività che all’inizio non ci piacevano”. Questo non è tutto: se il raggiungimento è sfidante, non solo si attivano nell’individuo resilienza e perseveranza, ma in lui si svilupperanno il senso di padronanza e la sensazione di potercela fare, alle quali si assocerà il rilascio di dopamina. Questa sostanza fissa il “piacere di avercela fatta” e produce desiderio di ripetere l’esperienza, con il risultato che “il soggetto si impegna di più”. Tuttavia, questo meccanismo talvolta risulta insufficiente, cosicché si rendono necessari dei “booster della motivazione”. Tale ruolo è ricoperto dalle aree prefrontali del nostro cervello, le quali ci permettono di saper rimandare la gratificazione, iperinvestire in termini di impegno e regolare l’attenzione. Da un punto di vista evolutivo, le aree prefrontali sono “così recenti da dover essere attivate e modellate dall’ambiente” (culturale, sociale ed educativo), ovvero non sono immediatamente operative in caso di bisogno ma vanno allenate, ed è allenandole che rinforziamo la nostra automotivazione.

 

 

Ma come rinforzare la motivazione negli altri? L’unica via possibile è lavorare sulla relazione. Bisogna “seminare interesse e coltivare i semi della padronanza e del far sentire capaci.” Tale orientamento è definito “il metodo del giardiniere” e si basa sull’idea che, affinché la passione decolli, è necessaria una relazione significativa. Per relazione significativa si intende “un processo complesso che si sviluppa sul lungo periodo”, infatti senza conoscere e capire chi abbiamo davanti “ogni processo di costruzione di un minimo di senso di controllo e ogni tentativo di alimentare la passione sono destinati al fallimento.” 

Sofia Sebastianutti

sofiasebastianutti@gmail.com 

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