Gestire la complessità in azienda: l’importanza delle intelligenze relazionali e del saper essere

"La complessità degli scenari economici e la crescente competizione globale fanno assumere alle persone un ruolo determinante per la crescita dell’azienda: alla richiesta esplicita di competenze di natura tecnica, l’organizzazione aggiunge una domanda implicita di capacità di problem solving e di comunicazione legate al saper essere, elemento chiave per la crescita, il successo e la costruzione di valore nel tempo.”

Stando a quanto affermato da Salvatore D’andrea e Giorgio Nardone in Il colloquio strategico in azienda, viviamo in un periodo storico caratterizzato da una grande complessità, in cui le aziende che hanno i migliori risultati sono quelle in grado di saper riconoscere e attivare i talenti dei propri lavoratori, facendo attenzione ai fattori umani e psicologici.

Tuttavia, cosa si intende dire quando si parla di complessità?  Etimologicamente parlando complesso significa “Intrecciato insieme”, dunque sarà “complessa” una realtà risultante di più parti in relazione tra loro: naturalmente all’aumentare delle parti in gioco e delle loro relazioni, corrisponderà un livello di complessità superiore.

Chiarito ciò, non potrà sicuramente sembrare stravagante l’interpretazione dell’azienda come un sistema complesso, ovvero come un sistema di relazioni: relazioni esistenti tra azienda e ambiente esterno e relazioni tra attori interni all’azienda stessa. Facendo riferimento a questo modello interpretativo, il nostro focus sarà sulle relazioni e sarà inevitabile un approccio relazionale al management.

Il ruolo del management è quello di “scoprire relazioni ed interconnessioni tra i vari aspetti della realtà organizzativa per giungere ad una sua comprensione, la più ampia e completa possibile, per generarne un senso condiviso ed un diffuso comportamento ad esso coerente.”[1] Per fare ciò, si presume che chi ricopre il ruolo di manager sia consapevole e dotato di quelle che vengono chiamate Intelligenze relazionali, in modo tale che possa riconoscerle e attivarle nei propri collaboratori per il bene dell’azienda.  Va ricordato che “l’intelligenza non è un valore assoluto, un quoziente che etichetta una persona nel bene o nel male, ma un’attitudine relativa al contesto.” Ritenendo vera l’ultima affermazione, è inevitabile il superamento di “una convinzione assai diffusa e fortemente limitante: quella che una persona sia preferibile ad un’altra in relazione al suo più elevato quoziente di intelligenza logico-riflessiva e/o emotiva.” Chi infatti, sebbene dotato di adeguate competenze tecniche e di un alto QI, non è in grado di capire e interpretare il contesto in cui è immerso, farà sempre fatica ad instaurare delle buone relazioni nell’organizzazione, cosa che in un contesto come quello attuale, data la diffusione di “forme organizzative digitali, aperte, conversazionali, strutturate in team collaborativi ed alla pari”, risulta essere di vitale importanza.

A questo punto un’obiezione potrebbe essere mossa: se “le intelligenze relazionali non possono essere conosciute a priori, emergono di volta in volta in virtù del dispiegarsi del circuito dell’io con l’altro, dell’io con il gruppo, dell’io con il contesto”, allora come capire a priori chi le possiede e come si possa attivarle? In risposta a tale quesito occorre ammettere che “oggi è necessario che l’intelligenza manageriale si parametri a delle nuove metriche, non più individuali ma di tipo relazionale”. I vantaggi che questo cambio di mentalità e di metriche potrebbero apportare all’impresa possono essere così riassunti: se il management riesce a capire e attivare le intelligenze relazionali, automaticamente riuscirà a implementare azioni più incisive, perché coerenti col contesto. Avendo già dato una breve definizione di tali intelligenze, è ora il momento di approfondirle.

Il Complexity Institute, associazione che ha come scopo principale la promozione della cultura della complessità e della comunicazione etica e generativa tra le persone, propone un modello secondo cui l’intelligenza relazionale è fatta di quattro tipi di intelligenze sistemiche che interagiscono tra loro. Eccole in sintesi. Le intelligenze relazionali interpersonali sono quella emotiva e quella sociale. L’intelligenza emotiva si manifesta attivando la capacità di riconoscere e utilizzare in modo consapevole e costruttivo le proprie emozioni, comprendere le emozioni dell’altro e facilitarne lo sviluppo costruttivo, mentre l’intelligenza sociale si manifesta attivando la capacità di riconoscere ed essere consapevole dei ruoli sociali, quello proprio e quello degli altri, all’interno dei gruppi in cui si agisce. Stando a quanto affermato nel seguente articolo, Le quattro intelligenze ralazionali: un must per le imprese, pubblicato per ilSole24ORE “a parità di condizioni, si possono mettere in atto dei comportamenti attraverso i quali si attivano le intelligenze interpersonali con accoppiamenti a volte anche molto differenti l’uno dall’altro. In questo modo qualsiasi azione assume un significato relazionale, al di là del suo contenuto tecnico e operativo, sulla base dei comportamenti di tutte le parti coinvolte nella relazione stessa. A seconda della loro coerenza e del loro allineamento, il confronto tra modelli relazionali darà vita a rapporti più o meno conflittuali o creativi tra le persone e tra i gruppi sociali.” È bene dunque essere consapevoli di queste possibilità per poter attivare dei comportamenti di volta in volta coerenti con le problematiche che l’azienda si trova ad affrontare.

Ogni azienda è poi inevitabilmente sottoposta a delle dinamiche evolutive: come affermato nel libro Il colloquio strategico in azienda, “un’azienda che funziona è al suo interno, come qualunque sistema vivente, in costante evoluzione.” A ciò fanno riferimento le intelligenze relazionali eco-sistemiche, che si dividono in intelligenza percettiva e intelligenza collettiva. L’intelligenza percettiva si manifesta attivando la capacità di riconoscere e descrivere le dinamiche che caratterizzano il contesto nel qui e ora, mentre l’intelligenza collettiva si manifesta attivando la capacità di riconoscere, comprendere e immaginare nel tempo l’evoluzione delle dinamiche collettive del sistema di cui si è parte. Questi due tipi di intelligenze possono attivarsi con modalità più o meno complementari e ci consentono di immaginare le dinamiche evolutive a cui ogni azienda è sottoposta: in questo modo possiamo anticipare e favorire i cambiamenti, che, seppur complessi, consentono all’azienda di sopravvivere. In conclusione, è sempre bene ricordare quanto affermato da Philip Kotler, ovvero che “vi sono due tipi di aziende: quelle che cambiano e quelle che scompaiono” e che di conseguenza è necessario che il management fornisca alle proprie risorse la possibilità di attivare le proprie intelligenze, esprimersi e cambiare, così da garantire un futuro all’azienda.

 

 

[1] Dove non espressamente indicato diversamente, ogni riferimento è a M. De Simone, “Il modello delle intelligenze relazionali per il management”.

 

Sofia Sebastianutti

sofiasebastianutti@gmail.com 

 

 

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